Biagio Rossetti e l’ingratitudine di Ferrara | estense.com Ferrara

2022-10-14 21:37:04 By : Ms. Eunice Lee

Una delle chiese più importanti di Ferrara è un ammasso di ruderi. Non è una novità la situazione di Sant’Andrea, già da secoli svuotata della sua identità, ma le rovine di via Camposabbionario pesano come macigni nell’anno del 500° anniversario della morte di Biagio Rossetti che vi fu sepolto. È passato mezzo millennio da quella sepoltura. Un tempo infinito di cui la struttura porta le cicatrici. E che nessuno ha voluto curare. Tanto da spingere l’artista Flavia Franceschini a  segnalare il fatto con una gallery fotografica sulla propria pagina Facebook.

“Sono passata stamattina (sabato, ndr) a fotografare i miseri resti di Sant’Andrea, quella che era una delle più importanti chiese di Ferrara, in cui lavorò Piero della Francesca, dove è sepolto Biagio Rossetti, che pure vi intervenne. Che fino a metà ottocento era visitabile. Che tristezza. Nell’anno del cinquecentenario della morte del grande architetto si presenta così. Epoca molto poco saggia, la nostra. Grandi interventi o… il nulla. Il buonsenso è sparito del tutto” critica la scultrice ferrarese che ha visto buttare al vento il lavoro di suo padre, Giorgio Franceschini.

“Mio papà, quando era presidente di Ferrariae Decus (dal 1989 al 1995, ndr) fece creare e posizionare nel cortile (quello che è ora un cortile ma era l’interno della chiesa), nel luogo esatto in cui da fonti storiche era la tomba di Biagio Rossetti, una base di colonna in marmo con la lapide che ricordava questa importante sepoltura. Con tanto di cerimonia alla quale ero presente”.

Poi, dopo alcuni anni il basamento sparì. “In quegli anni frequentavo la scuola, avendo le figlie come allieve delle medie, e mi parve molto plausibile che il basamento fosse stato eliminato perché in quello spazio vi era un parcheggio delle auto riservato alla scuola e doveva aver creato qualche disagio. Si può immaginare anche la desolazione di mio papà…” commenta Flavia Franceschini provando probabilmente, di fronte alle rovine di quello che non c’è più, la stessa identica desolazione.

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